IL COMUNE CONDANNATO PER MOBBING SI PUÒ RIVALERE SU CHI HA IMPORTUNATO LA COLLEGA

Una dipendente comunale, nel corso del rapporto lavorativo, aveva subito una serie di comportamenti vessatori posti in essere da colleghi e superiori qualificabili come mobbing ed aveva anche subito una molestia sessuale da parte di un altro dipendente, autista del sindaco.

Il Comune è stato dichiarato responsabile, quale datore di lavoro, per la violazione dell’art. 2087 c.c., per cui è stato condannato per mobbing nonché a pagare alla sua dipendente, a titolo di risarcimento danni. l’ulteriore somma di euro 15.000.

Il Comune si è quindi rivalso sull’autista – chiamandolo in manleva, per una parte della somma attribuita alla lavoratrice a titolo di risarcimento – agendo nei suoi confronti, quale dipendente, a titolo contrattuale per aver quest’ultimo dato luogo a responsabilità del datore di lavoro in ragione della violazione degli obblighi contrattuali nascenti a carico del lavoratore dal rapporto di impiego.

Per la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 7097 del 22 marzo 2018), nel caso di specie, la manleva è stata correttamente riconosciuta non in ragione di una responsabilità del lavoratore ex art. 2087 c.c., ma perché lo stesso, con la propria condotta (molesta sessuale nei confronti di altra dipendente) è venuto meno ai doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà, ed ai principi generali di correttezza e di buona fede, letti anche in riferimento al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, la cui osservanza riguarda non solo lo svolgimento della propria attività lavorativa, ma, tra l’altro, i rapporti con l’utenza e con gli altri lavoratori sul luogo di lavoro, così concorrendo a dare luogo ad una situazione che ha determinato la responsabilità ex art. 2087 c.c. del Comune.

Stante quanto sopra è stato affermato il seguente principio di diritto: “Nel rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, qualora un dipendente ponga in essere sul luogo di lavoro una condotta lesiva (nella specie molestia sessuale) nei confronti di un altro dipendente, il datore di lavoro, rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo e chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. nei confronti del lavoratore oggetto della lesione, ha diritto a rivalersi a titolo contrattuale nei confronti del dipendente, per la percentuale attribuibile alla responsabilità del medesimo; ciò in quanto il dipendente, nel porre in essere la suddetta condotta lesiva, è venuto meno ai doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dagli artt. 2104 e 2105 cod. civ., e ai principi generali di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., letti anche in riferimento al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, che devono conformare non solo lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche i rapporti tra i dipendenti pubblici sul luogo di lavoro”.

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