Licenziamento per insufficiente produttività anche nella P.A.
Sentenza innovativa quella della Cassazione sezione lavoro del 4 maggio 2021, n. 11635, secondo la quale è possibile sanzionare con licenziamento anche i lavoratori improduttivi della Pubblica Amministrazione.
Il caso di specie riguarda un informatico dell’azienda sanitaria locale il quale, già in passato, aveva tenuto comportamenti scarsamente produttivi e cooperativi in ambito lavorativo (lunghe assenze dal lavoro, prolungate pause caffé, timbrature di cartellino anche in periodi di assenza dal lavoro, ecc…). Tuttavia questi episodi presi singolarmente non erano mai stati ritenuti in grado di compromettere il rapporto fiduciario instauratosi tra il lavoratore e la P.A. di appartenenza.
Il provvedimento in questione scatta, però, a causa di un’ultima, prolungata assenza: secondo il Testo Unico, art. 55, comma quarto, infatti, decorre per essa il termine di 120 giorni previsti per l’attivazione del procedimento disciplinare. S’inserisce immediatamente la competenza dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (Udp), in quanto il comportamento posto in essere è da considerare talmente grave da intergare esso stesso un’autonoma infrazione. A sostegno della decisione della Suprema Corte, lo stesso CCNL: secondo il quale è punibile col licenziamento una condotta negligente che comporti un insufficiente e scarso rendimento.
Come valutare, però, la legittimità del licenziamento da parte delle P.A.? Essenziale è indubbiamente il permanere del rapporto di fiducia tra Pubblica Amministrazione e dipendente: qualora si verifichi un’evidente violazione del comportamento di diligente collaborazione dovuta dal dipendente pubblico, la suddetta sanzione sarebbe legittimata. Il comportamento negligente si riscontra nel momento in cui si verifica una notevole sproporzione tra gli obiettivi fissati dalla P.A. e quanto effettivamente conseguito dal lavoratore.